POMI DI TERRA
Qui in Francia ho scoperto le patate. E l’acqua calda, direte voi. C’entra anche l’acqua calda e vi spiegherò dopo perché, ma posso dire di aver mangiato la mia prima vera patata qui, al nord del nord, tanto vicino alla mia amata Olanda (di cui amo soprattutto il fatto che quando mi ci ritrovo, più o meno per caso, soprattutto ad Amsterdam, mi sento inspiegabilmente legittimata a nutrirmi esclusivamente di enoooormi cornucopie di patatine fritte, le migliori ever ever, anche migliori delle belga, secondo me) dicevo, qui da queste parti le pommes de terre hanno qualcosa di speciale.
La poesia di una patata comincia dal suo nome. Amandine. Charlotte. Adora. Monalisa. Saturna. Lady Christl. Juliette. Rosa. Desireè. Elodie. Victoria. Lady Rosetta. Rosamunda. Franceline. Annabelle. Un gineceo di tuberi.
Del resto la patata non può che essere femmina, una gran bella femmina. Mammella sotterranea sospesa nel ventre della terra, è una bolla di nutrimento e di piacere, e quando c’è lei è sempre festa e hai sempre la sensazione che non basti mai. Due chili di patate per quattro persone? Ma sei matta? E poi va a finire sempre a forchettate sulle mani per l’ultima nella teglia.
Ma mai avrei pensato che le patate avessero un odore. Di cosa profumano le patate, di salvia, rosmarino e pollo, no? Prima di venire in Francia pensavo che la patata fosse come il Grenouille di Suskind.
Invece le patate hanno un odore proprio.
Quando lessi delle patate da purèe, cioè dalla polpa gialla e molto morbida e ricca di amido, tipo Caesar (l’eunuco forse), Bintje (le mitiche protagoniste delle frites belges!) o Manon o Marabel, in compagnia, nel loro pentolone di acqua, di nient’altro che di una manciata di sale grosso, dopo circa venti minuti di bollore sentirai sprigionarsi nell’aria un delicato profumo di burro fuso, pane caldo e legna. Ti sentirai catapultato in una fattoria nel momento della merenda e invece starai solo lessando un pentolone di patate.
TOPINAMBUR
Divincolarmi col mio coltellino fra le sue asprezze non è facile, ha un corpo sodo e succoso ma ostile, non è una polpa fecolosa, è più liquida che solida. Ma la sensazione più bella me la dà il suo profumo che so cambierà completamente a contatto col calore. Le grida di dolore del topinambur cotto si sentono nel cambiare di colore del suo profumo, che da radice bianca e aspra e quasi inodore si trasforma nel più dolce e verde sentore di carciofo. Questa è la magia del topinambur: quando tocca il fuoco acquista il profumo di qualcos’altro.
VINAIGRETTE
Certo, non tutti i francesi conoscono u’ salmurigghiu ma tutti noi conosciamo la vinaigrette. Quando ti arriva un francese normodotato in Sicilia e gli fai assaggiare u’ salmurigghiu, magari durante una grigliata di pesce in riva al mare, sai benissimo che lo metterai in crisi. Dapprima, appena gli metti davanti agli occhi la ciotola con l’emulsione lui guardandola ti dice: “Ah, tu as fait la vinagrette!”
Tu lo guardi con bonaria comprensione, afferri un sarda arrosto appena tirata giù dalla rarigghia (la gratella posta sulla brace del barbecue) massaggiata dell’ aromatico unguento, gliela metti in bocca, e aspetti. All’improvviso vedi un lampo di smarrimento nei suoi occhi, come se qualcosa fino a quel momento gli fosse mancato. Tu sai perfettamente a cosa sta pensando e godi, godi, con ancora le dita unte dell’olio essenziale del limone che hai appena spremuto, magari appena colto dall’albero che hai a fianco.
Se c’è una cosa che ci accomuna ai francesi è la convinzione che il proprio cibo sia il migliore del mondo. Ed è giusto e bello così. Il cibo più buono è quello con cui sei stato allevato, quello che hai visto cucinare a tuo madre e a tua nonna. Insomma fois gras o fassumauru, è sempre una questione di svezzamento.
Certo che anche la vinaigrette però, con una bella salade de feuille de chene rouge… bbona. Recette: Vinaigrette a’ l’echalotte, assaggiata chez Marie Odile, la mia dirimpettaia francese originaria della Champagne Ardenne che, in onore alle sue origini, tutte le volte che viene a cena da noi porta una bottiglia di champagne, sempre un piacere ospitarla.
ZUCCASTAGNA
Si chiama potimarron e, come suggerisce il nome, è una zucca che ha forma, sapore e odore di castagna. Si mangia con la buccia! E io che odio sbucciare la zucca ho deciso che è la mia zucca preferita. Deliziosa in veloutè.
PORRO
Se non fosse un cibo sarebbe un giocattolo. Tutte le volte che me ne ritrovo uno fra le mani sorrido guardandogli la barba bianchiccia che lo fa sembrare un vecchietto magro ma arzillo.
Avete mai provato, mentre lo pulite, a spingere il dito dentro un porro per farne scorre gli strati uno sopra l’altro? Da bambina mi divertivo a fare questo movimento con il metro da sarta di mia mamma. Si forma una specie di piramide azteca, cilindrica però.
Quando la smetto di giocare e comincio a prepararlo nel mio modo preferito, cioè in gratin con menta fresca e pecorino, lo taglio a rondelle, e lì comincia il divertimento. Mi piace sgranare ogni singolo anello e per far ciò è bene mescolarlo rigorosamente con le mani, dopo averlo generosamente condito come da ricetta. Infilare le mani nelle rondelle di porro significa inanellarsi meravigliosamente le dita, come una gitana degli orti. Se sei sposata o se semplicemente porti degli anelli, attenta a non farli scivolare nel gratin; se ti succede, falla passare per una sorpresa romantica per i tuoi commensali, sperando di non dovere sorprendere lietamente anche un dentista, che in quel caso dovresti prontamente offrirti di pagare.
CECI
Se un giorno vi svegliate di botto all’alba perché l’idraulico di emergenza del vicino ha sbagliato campanello e, mentre fate il caffè con mezzo cervello ancora spento, ripetendo dentro di voi un mantra della nonviolenza e dell’ottimismo a piacere, mettendo da parte i sentimenti di vendetta e odio condominiale, vi auto convincete che in fondo quel giorno avrete semplicemente molto più tempo a disposizione del previsto e, grati di questo, ma veramente (gnzznnn!!?an#dbknkk##!!\!?!), all’improvviso, più illuminati dello zio Fester, deciderete di approfittarne per mettere in atto uno di quei procedimenti gastronomici calcolati e infami come i falsi amici, come la pizza a lievitazione naturale o l’hummus o i falafel, quelli insomma che quando ne avete bisogno improvviso non ci sono mai, beh probabilmente quel giorno vi ritroverete in compagnia di una ciotola piena di acqua e ceci secchi.
Nel silenzio totale che scandirà tutta la giornata, (rifuggirete come la peste suoni scampanellanti e quindi anche musica e affini) mentre fate finta di mettervi lucidamente al lavoro al pc come di consueto, sentirete dei pic, pac, poc, pic, aripac, aripoc, intermittenti e flebilissimi e, per una buona decina di minuti, forse anche di più, non capirete da dove diamine essi provengano. Poi d’un tratto capirete, sorriderete e aggiungerete i ceci alla vostra lista di ingredienti magici, se ne avete una. Avrete scoperto per caso che i ceci hanno una voce anche prima di borbottare nella pentola e, soprattutto, lo avrete scoperto per caso e in una circostanza solo apparentemente funesta come può esserlo una scampanellata all’alba quando, per giunta, non cercavano neanche voi. Capirete allora, mentre un sorriso da Buddha con le occhiaie si dipinge sul vostro volto, che quel giorno a suonare alla vostra porta non è stato l’idraulico della vicina, ma il canto nascosto della natura sotto le insospettabili spoglie di una papilionacea. (Mavaff..proprioalle5delmattinoperòòòò!!!?!)
SCUTULÁTA
Questo, pur non essendo un ingrediente in realtà, è uno dei prodotti più esportati all’estero dagli italiani. Io lo faccio sempre e non vedo nessuno farlo mai da queste parti nonostante l’innumerevole quantità di finestre che mi circonda. Ho imparato a guardare sotto prima di farlo, qui non ti capirebbero di certo, e stamattina ho sorriso, la tovaglia infagottata e sospesa fra le mie mani, alla vista di due simpatiche e lentissime vecchine che passavano con flemma sotto alla mia finestra, a braccetto.
in tutte le cose che fai io sono sicura che non manchera’ mai un ingrediente magico che si chiama amore e passione perche’ fanno parte di te ciao mamma